La torta coi bischeri: storia e segreti di un antico dolce tipico pisano
La torta coi bischeri è un dolce tipico della bassa Val di Serchio che si ritrova con alcune varianti in molte località del contado pisano: prima fra tutte Pontasserchio, ma anche Filettole, Avane, Vecchiano, San Giuliano Terme e dintorni. Nasce come un dolce povero e dagli ingredienti semplici, anche se oggi i costi di produzione sono aumentati proprio per il valore delle sue materie prime, primi fra tutti i pinoli, che secondo il disciplinare che regola il marchio devono essere quelli del Parco di San Rossore.
Per conoscere i segreti e la storia di questo antico dolce abbiamo fatto visita alla Artigiana Dolci di Pontasserchio per intervistare Leonardo Bacci, che insieme alla sorella Sandra gestisce la pasticceria dal 1996
Venendo al ripieno, che a Pontasserchio è chiamato evocativamente buzzo, gli ingredienti sono tanti e gustosi: cioccolato fondente, cacao, riso, uova, canditi, uva passa e pinoli.
Il disciplinare della torta
Partendo dal presupposto che ogni famiglia ha la sua ricetta passata di generazione in generazione, la torta co’ bischeri dal 2007 è dotata di un rigido disciplinare, e solo le pasticcerie locali che lo osservano fedelmente possono dotarsi del marchio di certificazione. La prima ad averlo ottenuto è proprio l’Artigiana Dolci di Pontasserchio, gestita dal 1996 da Sandra e Leonardo Bacci, che ci hanno gentilmente ospitati nella loro pasticceria e raccontato la storia e il processo di realizzazione del dolce. La Artigiana Dolci in questi decenni si è fatta promotrice del dolce tipico riuscendo a esportarlo anche fuori dai confini territoriali e temporali, rendendo disponibile la torta coi bischeri anche oltre il periodo della fiera di Pontasserchio, che si svolge attualmente tra fine aprile e inizio maggio.
I bischeri: un nome un perché
I bischeri sono delle guglie di pasta che decorano la torta coi bischeri quasi a incoronarla, e si chiamano così proprio per la loro forma che richiama quella dei bischeri degli strumenti a corda, i pirolini che ne permettono l’accordatura. A questo proposito bisogna dire che nella vicina Lucchesia esiste un dolce molto simile nella forma e nel nome: è la torta co’ becchi, che però viene farcita tradizionalmente con un impasto dolce a base di erbe di campo.
La nascita del dolce e la sua storia
Tutto nasce nel Cinquecento grazie a un evento miracoloso riportato dalla tradizione locale: è il cosiddetto miracolo del Crocifisso, che attirò in poco tempo una grande quantità di fedeli, i quali accorrevano a Pontasserchio anche da fuori Pisa per adorare un’immagine ritenuta miracolosa. Al pellegrinaggio seguì la fiera del bestiame, oggi diventata la famosa Agrifiera, così i paesani cominciarono a pensare a un modo per sfamare i viandanti e allo stesso tempo rimpinguare le proprie finanze: nasceva così la torta coi bischeri. Per maggiori dettagli sull’evento miracoloso e le antiche origini dell’Agrifiera, si rimanda all’articolo L’Agrifiera di Pontasserchio: storia curiosa di una fiera antica.
Una storia dentro la storia: la tradizione della torta in paese
Marchi registrati e disciplinari a parte, la tradizione della torta coi bischeri viene tramandata da secoli dalle famiglie locali, che ogni anno infornano decine di torte per regalarle a parenti e ad amici. Per i pontasserchiesi la fiera continua ad essere un momento di festa e la preparazione delle torte un’occasione di convivialità e tradizione: anche se qualcuno comincia ad adeguarsi ai tempi moderni cuocendo le torte nel forno elettrico di casa, molti ancora si recano dal vicino o magari al forno del paese per cuocere i dolci nel forno a legna.
Per rendere l’atmosfera che si respirava ancora qualche decina di anni fa nel periodo di fiera, ci è piaciuto riportare un pensiero che ha scritto per l’edizione 2022 dell’Agrifiera Paolo Panattoni, ex sindaco di San Giuliano Terme e pontasserchiese di nascita:
Mio babbo aveva un forno. Anzi due. Perché il suo lavoro era quello di fare e vendere il pane. Ma le torte coi bischeri non le ha mai fatte per vendere. Ma ne ha cotte ogni anno tantissime. Le famiglie si iscrivevano su un quaderno dove erano segnati i giorni di cottura e quante torte dovevano cuocere. E in coda al quaderno c’era scritto quante torte entravano per ogni “infornata”. Mi ricordo che quando tornavo da scuola dovevo fare gli slalom fra file di torte disciplinatamente messe sui pianali di legno. Un po’ in terra, un po’ sopra le “caprette” usate per lavorare gli impasti del pane, un po’ appoggiate sopra le stive dei sacchi di farina. A capo di ogni fila una donna che “badava” le sue torte, per non perdere il suo turno. Su ogni fila di torte uno stuzzicadenti, a volte due e fino a cinque per distinguere i proprietari in quel mare di bandone grigio in cui spiccavano le onde di cioccolata. Alcuni mettevano le iniziali nelle decorazioni: ma si trattava soprattutto di “sofismi”, di dettagli che catalogavano fra i “piovuti” quelli che lo facevano. La torta classica aveva la guarnizione di trama di strisce di pasta che s’incrociavano: punto. Le più anziane sentenziavano che «o cos’è questa novità di mette le cifre…i numeri…e un sono mia camicie che ci vole le cifre», e giù risate a grappolo che pareva d’essere in un teatro di cabaret. Mi ricordo mio padre che, stanco del lavoro della notte, mangiava un piatto di pastasciutta appoggiato alla bocca del forno. Da lontano mi strizzava l’occhio e poi si dedicava ad intrattenere le massaie, a volte indispettite dalle lunghe attese. E tutto si stemperava nelle barzellette che riecheggiavano nell’aria con le chiassose risate che facevano tremare le orecchie ed i muri. Ritrovavi 10-15 persone che si raccontavano delle loro famiglie, che discutevano di cosa aveva “detto la televisione” e di quanto “rigonfio” ci voleva “per fa’ veni’ boni i soli” delle torte. Socialità vera fatta da persone vere che avevano il gusto di condividere il gusto della vita. Quando mi avvicinavo alla bocca del forno mio padre mi cingeva per i fianchi e con una mano mi alzava da terra e mi metteva in orizzontale con il piano del forno “sei pronto ?” mi diceva “Sì” urlavo con la gioia di chi avrebbe visto la cosa più bella del mondo. Apriva la finestrella del forno ed io vedevo tutte quelle torte che stavano cuocendo illuminate dalla luce interna del forno. Mi sembrava non finissero mai. Così come non potrò mai dimenticare l’odore del “rigonfio” che il calore del forno piano piano si divorava. Ti lasciava senza fiato…quando mi rilasciava a terra cercavo il “sentiero” per correre a raccontare cosa avevo visto: la magia del 28. Passavo fra le carezze e le gonne delle donne, il più in fretta possibile…e trovavo sempre qualcuna che prendeva una torta in mano, con il grembiule mi puliva il dito e me lo faceva tuffare in quel ben di Dio di uvetta, candito, cioccolata e riso. Mi carezzava la testa mentre io mi ciucciavo il dito sporco di cioccolata.
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